Cassazione: obbligo deposito della parte opposta

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Negli ultimi anni si è discusso molto su quale fosse la parte processuale gravata dall’onere di promuovere la mediazione procedimenti per ingiunzione. La problematica è molto rilevante perché ne va della procedibilità della domanda (e quindi anche del decreto ingiuntivo).

La c.d. Riforma Cartabia ha finalmente tolto ogni dubbio. L’art. 5-bis (Procedimento di opposizione a decreto ingiuntivo) infatti recita così:
1. Quando l’azione di cui all’articolo 5, comma 1, è stata introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, nel procedimento di opposizione l’onere di presentare la domanda di mediazione grava sulla parte che ha proposto ricorso per decreto ingiuntivo. Il giudice alla prima udienza provvede sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione se formulate e, accertato il mancato esperimento del tentativo obbligatorio di mediazione, fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di cui all’articolo 6. A tale udienza, se la mediazione non è stata esperita, dichiara l’improcedibilità della domanda giudiziale proposta con il ricorso per decreto ingiuntivo, revoca il decreto opposto e provvede sulle spese.

Prima di questa riforma era intervenuta anche la Corte di Cassazione.

Secondo la sentenza della Corte di Cassazione Civile – Sezioni Unite – del 18 settembre 2020, n. 19596 (Pres. Travaglino, Rel. Cirillo) nel caso di opposizione a decreto ingiuntivo la mediazione obbligatoria va promossa dalla parte opposta.

Il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte:

Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 1-bis, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo, una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l’onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo“.

Nel motivare la decisione (in aperto contrasto con precedenti pronunce sempra della Cassazione), gli ermellini adducono le seguenti riflessioni.

Da un punto di vista normativo (analisi testuale delle norme di riferimento):

  • La prima norma è quella dell’art. 4, comma 2 D.Lgs. 28/2010. il quale, nel regolare l’accesso alla mediazione, stabilisce come debba essere proposta la relativa domanda e specificamente dispone, al comma 2, che “l’istanza deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa”. E’ una caratteristica tipica del nostro sistema processuale il fatto che sia l’attore, cioè colui il quale assume l’iniziativa processuale, a dover chiarire, tra le altre cose, l’oggetto e le ragioni della pretesa. Appare almeno curioso, quindi, ipotizzare che l’opponente, cioè il debitore – ossia chi si è limitato a reagire all’iniziativa del creditore – sia costretto ad indicare l’oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua.
  • Art 5, comma 1-bis: l’obbligo di esperire il procedimento di mediazione è posto dalla legge a carico di chi intende esercitare in giudizio un’azione, e non c’è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell’attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (c.d. attore in senso sostanziale). Non a caso, infatti, l’art. 643 c.p.c., comma 3, stabilisce che la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite
  • La terza disposizione significativa è quella del D.Lgs. n. 28 del 2010, art. 5, comma 6, il quale dispone che “dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale”. E’ agevole collegare questa previsione con gli artt. 2943 e 2945 c.c., i quali regolano gli effetti della domanda giudiziale sull’interruzione della prescrizione e l’ultrattività dell’effetto interruttivo in caso di estinzione del processo (art. 2945, comma 3, cit.). L’art. 5, comma 6, anzi, prevede pure un effetto impeditivo della decadenza “per una sola volta”. Va da sè che non appare logico che un effetto favorevole all’attore come l’interruzione della prescrizione si determini grazie ad un’iniziativa assunta dal debitore, posto che l’opponente nella fase di opposizione al monitorio è, appunto, il debitore (convenuto in senso sostanziale).

Motivazioni di ordine logico e sistematico:

  • Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è l’opposto ad avere la qualità di creditore in senso sostanziale. La legge ha voluto che nel giudizio monitorio l’onere di attivazione della procedura di mediazione obbligatoria fosse collocato in un momento successivo alla decisione delle istanze sulla provvisoria esecuzione; a quel punto, non solo è certa la pendenza del giudizio di opposizione, ma può anche dirsi che la causa si è incanalata lungo un percorso ordinario. Instaurata l’opposizione e sciolto il nodo della provvisoria esecuzione, non ha più rilievo che il contraddittorio sia differito; e dunque appare più conforme al sistema, letto nella sua globalità, che le parti riprendano ciascuna la propria posizione, per cui sarà il creditore a dover assumere l’iniziativa di promuovere la mediazione.
  • Un secondo argomento sistematico si deduce confrontando le diverse conseguenze derivanti dall’inerzia delle parti a seconda che si propenda per l’una o per l’altra soluzione. Se, infatti, si pone l’onere in questione a carico dell’opponente e questi rimane inerte, la conseguenza è che alla pronuncia di improcedibilità farà seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo; se l’onere, invece, è a carico dell’opposto, la sua inerzia comporterà l’improcedibilità e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo; il quale ben potrà essere riproposto, senza quell’effetto preclusivo che consegue alla irrevocabilità del decreto. Nella prima ipotesi, quindi, definitività del risultato; nella seconda, mero onere di riproposizione per il creditore, il quale non perde nulla.

Rilievi di natura costituzionale:

  • Com’è noto, la Corte costituzionale è stata chiamata più volte a pronunciarsi sulla legittimità della c.d. giurisdizione condizionata ed ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di numerose disposizioni che prevedevano, appunto, simili forme di giurisdizione. Tra le numerose pronunce deve essere ricordata la sentenza n. 98 del 2014 nella quale il Giudice delle leggi, occupandosi di una norma del processo tributario (il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 17-bis, comma 2), ne ha dichiarato l’illegittimità costituzionale nella parte in cui prevedeva l’obbligo di presentazione di un reclamo agli uffici tributari come condizione di proponibilità della domanda, con la conseguenza che la mancata presentazione di quel reclamo determinava l’inammissibilità del ricorso. La Corte ha ricordato che le forme di accesso alla giurisdizione condizionate al previo adempimento di oneri sono legittime purchè ricorrano certi limiti; e che comunque sono illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi amministrativi la conseguenza della decadenza dall’azione giudiziaria.
  • Dovendo scegliere tra due contrapposte interpretazioni, le Sezioni Unite non possono che preferire quella che appare in maggiore armonia con il dettato costituzionale; porre l’onere di promuovere il procedimento di mediazione a carico dell’opponente si traduce, in caso di sua inerzia, nella irrevocabilità del decreto ingiuntivo come conseguenza del mancato esperimento di un procedimento che non è giurisdizionale.
  • E’ indubbio che nel conflitto tra il principio di efficienza (e ragionevole durata) e la garanzia del diritto di difesa, quest’ultimo deve necessariamente prevalere.

Alcuni riferimenti alla precedente sentenza del 2015:

La disciplina della mediazione obbligatoria non si applica fino alla pronuncia sulle istanze di concessione o di sospensione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo; il che significa – dato il carattere non necessario della pronuncia delle ordinanze di cui agli artt. 648 e 649 c.p.c. – che il procedimento di mediazione potrebbe anche “non trovare per nulla applicazione nell’opposizione a decreto ingiuntivo”.

La tesi seguita dalla sentenza n. 24629 del 2015 trova il proprio fondamento nell’affermazione secondo cui, poiché è l’opponente il soggetto interessato alla proposizione del giudizio di cognizione, è su di lui che deve gravare l’onere di avviare la procedura di mediazione. D’altro canto, però, è sostenibile anche l’altra tesi, che ha dalla sua il fatto che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il convenuto opposto ad essere l’attore in senso sostanziale; e con la proposizione dell’opposizione il giudizio torna ad essere un normale giudizio di cognizione

Gli uffici di merito che, al contrario, non hanno seguito il citato indirizzo hanno richiamato soprattutto due argomenti: 1) nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo le parti riprendono ciascuna il proprio ruolo ed è il creditore opposto a doversi attivare per la procedura di mediazione, come normalmente avverrebbe se si trattasse di una causa ordinaria; 2) l’improcedibilità del giudizio di opposizione per mancato avvio della procedura di mediazione determinerebbe la caducazione del decreto ingiuntivo, cioè la sua revoca, senza pregiudizio della possibilità di ottenere un altro decreto ingiuntivo identico al precedente, mentre l’orientamento della sentenza n. 24629 del 2015 conduce al risultato per cui all’improcedibilità dell’opposizione deve fare seguito l’irrevocabilità del decreto ingiuntivo.

Altri passaggi interessanti:

L’istanza di mediazione deve indicare l’organismo, le parti, l’oggetto e le ragioni della pretesa (art. 4, c. 2). E’ naturale che sia l’attore, cioè chi assume l’iniziativa processuale, a dover chiarire l’oggetto e le ragioni della pretesa; sarebbe invece illogico pretendere che sia l’opponente, cioè il debitore, a dover precisare oggetto e ragioni di una pretesa “non sua”.

Il commento:

Questa nuova pronuncia, dunque, da una parte stravolge l’intepretazione del 2015 dei giudici di legittimità (Sentenza 24629/2015) nella quale si riteneva che l’onere ricadesse sull’opponente considerandolo come parte attrice sostanziale del processo ordinario di cognizione. D’altra parte pone fine ad un inaccettabile incertezza causata dai contrapporti orientamenti fra i giudici di merito rispetto ad una rgomento – l’accesso alla giustizia – di primaria importanza costituzionale e sociale.

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